Maria Santissima Madre di Dio

«Ti vedo in mille immagini, / Maria, amabilmente figurata», scrive Novalis nei suoi Canti spirituali. Sin dall’antichità, infatti, la Vergine Madre è stata fatta oggetto non solo della riflessione della teologia, ma anche del genio e della contemplazione degli artisti. La Chiesa di Santa Maria in Trastevere, come anche la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, ne sono una testimonianza vivissima. Ma è nel XIII secolo che Cavallini realizza un bellissimo ciclo musivo nella Chiesa di Trastevere. Realizza dei mosaici che narrano il dogma della Madre di Dio, oggetto del pronunciamento del concilio di Efeso del 431 che ha meditato questo mistero. Ed è proprio questo mistero che Pierre de Bérulle canta quando associa Maria alla massima opera della Trinità che è l’Incarnazione del Verbo: «L’hai fatta solo per te, o Santa Trinità: l’hai fatta come un mondo e un paradiso a parte…un nuovo cielo e una nuova terra…un altro universo nell’universo». Ma la contemplazione del mistero di Maria nel mistero di Cristo non allontana il credente dalla Vergine Madre, ma piuttosto l’avvicina a lei nella partecipazione all’unica storia della salvezza, tanto che Teresa d’Avila potrà dire: «Quando contemplo te, / di gloria circonfusa, / che vinci lo splendore dei beati, / non oso creder di essere tua figlia, / abbasso gli occhi innanzi a te. / […] Ripenso sul Vangelo la tua vita, / oso guardarti e avvicinarmi a te. / Ti vedo, come me, / mortale e sofferente, / e allor m’è dolce credermi tua figlia».
Al centro del mosaico che la celebrazione inaugurale dell’anno civile ci invita a contemplare, il mistero di Maria Madre di Dio, domina il trono, affiancato dai Santi Pietro e Paolo, protettori di Roma, e dai quattro animali dell’Apocalisse, simboli degli evangelisti. Una solennità che invita a considerare il mistero di Maria nel mistero del suo Figlio fatto carne. Nella Redemptoris MaterGiovanni Paolo II illumina questa verità proponendo una ricca riflessione che vale la pena riprendere: «Se infatti è vero che “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” allora bisogna applicare tale principio in modo particolare a quella eccezionale “figlia della stirpe umana”, a quella “donna” straordinaria che divenne Madre di Cristo. Solo nel mistero di Cristo si chiarisce pienamente il suo mistero. Così, del resto, sin dall’inizio ha cercato di leggerlo la Chiesa: il mistero dell’incarnazione le ha permesso di penetrare e di chiarire sempre meglio il mistero della Madre del Verbo Incarnato […]. “Il Figlio di Dio, nascendo da Maria Vergine, si è fatto veramente uno di noi”, si è fatto uomo. Così dunque, mediante il mistero di Cristo, sull’orizzonte della fede della Chiesa risplende pienamente il mistero della sua Madre. A sua volta, il dogma della maternità divina di Maria fu per il Concilio Efesino ed è per la Chiesa come un suggello del dogma dell’incarnazione, nella quale il Verbo assume realmente nell’unità della sua persona la natura umana senza annullarla».
Il pensiero del santo papa polacco può essere meglio compreso alla luce di quanto leggiamo anche al n. 5 dell’esortazione apostolica Marialis cultus, lì dove il beato Paolo VI ricordava che «il tempo di Natale costituisce una prolungata memoria della maternità divina, verginale, salvifica, di colei la cui “illibata verginità diede al mondo il Salvatore”: infatti, nella solennità del Natale del Signore, la Chiesa, mentre adora il Salvatore, ne venera la Madre gloriosa». In Maria, Vergine e Madre, i credenti riconoscono la presenza di Dio e pregano affinché anche coloro che sono stati salvati da Cristo, possano accoglie nel loro spirito il Dono della Vita che non conosce la morte. Scrive Rainer Maria Rilke: «Non attender che Dio su te discenda / e che ti dica: Sono. / senso alcuno non ha quel Dio che afferma / l’onnipotenza sua. / Sentilo tu, nel soffio on’Ei ti ha colmo / da che spiri e sei. / Quando, non sai perché, ti avvampa il cuore, / è Lui che in te si esprime». Nell’accogliere Cristo il cristiano impara ad aprirsi ai fratelli e in questa sua apertura sperimenta la gioia del compimento, poiché «nel suo aprirsi all’amore originario che gli è offerto, la sua esistenza si dilata oltre sé. “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) […]. L’io del credente si espande per essere abitato da un Altro, per vivere in un Altro, e così la sua vita si allarga nell’Amore» (Francesco, Lumen fidei 21).


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