II domenica di Avvento
Il Giovanni Battista realizzato da Donatello a metà del ‘400 e posto nel Duomo di Siena, ha poco o nulla a che fare con quanto proposta da artisti come Leonardo, Bronzino, Cima da Conegliano e molti altri, perché è un personaggio che risponde perfettamente alla descrizione che ne fa il vangelo: un uomo vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, che si nutre di cavallette e di miele selvatico (cf. Mt 3,4). L’artista è riuscito a rendere realisticamente il volto e le carni emaciate del santo e a esaltare il gioco di luce e di ombre è attraverso la povera veste che indossa. Le proporzioni della figura e i particolari fisici mostrano un grado estremo di naturalismo, anche se le sue membra allungate oltre il naturale riescono a esprimere efficacemente la forte tensione ascetica che caratterizzava la vista di quest’uomo di Dio. Nell’essenzialità della sua figura, scarna e asciutta, Giovanni proclama che ciò che conta è l’annuncio che egli è venuto a portare. La sua persona, infatti, s’identifica con il suo ministero ed è a servizio, senza riserve, dell’annuncio del Messia. La sua unica ricchezza è la povertà della parola e della testimonianza.
Anche lui, come avrebbe fatto più il là Paolo, non si presenta agli uomini con “sublimità di parola o di dottrina”, ma con umiltà e forza prepara la via al Signore che viene. Per questo indica Cristo, Agnello di Dio, che, come recita il Prefazio I di Avvento, «al suo primo avvento
nell’umiltà della nostra natura umana
[…] portò a compimento la promessa antica
e ci aprì la via dell’eterna salvezza». In Giovanni, per usare le parole della Prima Lettura, possiamo vedere colui che è invitato ad alzare la voce con forza, senza temere. Egli, scriveva Giovanni Paolo II al n. 91 dellaVeritatis splendor, «rifiutandosi di tacere la legge del Signore e di venire a compromesso col male, “immolò la sua vita per la verità e la giustizia” e fu così precursore del Messia anche nel martirio (cf. Mc 6,17-29). Per questo – come afferma Beda il Venerabile – “fu rinchiuso nell’oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina…E fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo”». Anche il carteggio che il Battista tiene tradizionalmente in mano e che contiene la scritta Ecce agnus Dei…, sintetizza il suo ministero nel deserto.
E poiché quest’opera è conservata in una Chiesa, lì dove si celebra la Santa Messa, allora il rimando alla celebrazione del sacrificio eucaristico è immediato e del tutto evidente. Infatti, quando il sacerdote presenta l’ostia consacrata ai fedeli dicendo Ecco l’agnello di Dio…nel loro cuore risuonano proprio quelle parole evangeliche pronunciate dal Battista dinanzi alla figura del Messia, e così riconoscono che quel Gesù indicato da Giovanni nel deserto è colui che adesso viene mostrato ai comunicandi affinché anch’essi possano seguirlo così come fecero i discepoli di Giovanni. La statua realizzata da Donatello, in particolare, è posta nei pressi del pulpito, e ciò fa risaltare il significato che riveste il ministero profetico del Precursore del Signore in ordine all’intera storia della salvezza.
Il mistero di Cristo è fatto di obbedienza e di sacrificio poiché Gesù si offre come un docile Agnello del riscatto per il peccato del mondo. Giovanni riconosce la grandezza di questo mistero e lo testimonia con la parola e con il suo stesso silenzio. Si potrebbe dire che egli, il quale ha parlato di sé come di una voce in rapporto alla Parola, dopo la sua confessione abbia cominciato a tacere per fare spazio a Cristo. Così facendo ha però indicato ai discepoli di Gesù quale debba essere il loro atteggiamento nei confronti del messaggio che annunciano: Cristo deve crescere, il testimone diminuire.