I Domenica di Avvento
“Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono”
(1 Ts 5,16-24)
«Tutti siamo avvizziti come foglie,
le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento.
Nessuno invocava il tuo nome,
nessuno si risvegliava per stringersi a te» (Is 64,5-6) confessa con amarezza Isaia nella Prima Lettura di questa Domenica introduttiva al Tempo di Avvento. Il profeta denuncia la condizione in cui il popolo è precipitato a causa del peccato e ci permette di riflettere sulla nostra condizione attuale, poiché anche questa generazione sembra essere come addormentata e narcotizzata, e vive in un tempo in cui il “cuore inquieto” ha fatto spazio a un cuore privo di attese e di domande, pago soltanto del proprio presente o di quanto può offrirgli il suo immediato futuro. In questo clima il cristiano deve continuare ad avere fiducia nell’intervento salvifico di Dio, come suggerisce il canto d’ingresso della liturgia e come ricorda soprattutto il vangelo odierno.
Egli, infatti, deve vegliare senza sosta ben sapendo che il padrone di casa potrebbe giungere perfino dopo una lunga ed estenuante attesa, al «canto del gallo o al mattino» (Mc 13,35). E qualora dovesse lasciarsi sopraffare dal sonno, potrebbe continuare a invocare il Signore con le parole del Salmista: «Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci…facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome» (Sal 80,3-4). Ritornano alla mente a questo proposito le parole che Papa Francesco pronunciò nella Chiesa del Getsemani a Gerusalemme durante la sua visita in Terra Santa del maggio scorso, quanto parlò di una sequela che proprio lì si era fatta difficile e incerta per gli apostoli, una sequela che aveva fatto i conti con il dubbio, la stanchezza e il terrore, tanto che «nel succedersi incalzante della passione di Gesù, i discepoli assumeranno diversi atteggiamenti nei confronti del Maestro: atteggiamenti di vicinanza, di allontanamento, di incertezza».
Nella parte posteriore della famosa Maestà dipinta da Duccio di Buoninsegna all’inizio del XIV sec., conservata nel Museo dell’Opera Metropolitana a Siena, tra le Storie della Passione, sotto la scena della Crocifissione, al centro, più larga rispetto gli altri pannelli, è incastonato il particolare dell’Orazione nell’orto degli ulivi e della cattura di Cristo. In questa porzione della Maestà sono raffigurati, senza soluzione di continuità, il dialogo di Gesù con Pietro, Giovanni e Giacomo – i quali vengono esortati a vegliare mentre, sulla destra, Gesù si ritira da solo in preghiera – e il gruppo degli altri apostoli, in primo piano sulla sinistra, il quali dormono sopraffatti dal sonno. La figura di Gesù appare due volte e come sdoppiata. Per cogliere la continuità e la discontinuità dei due momenti la scena dipinta da Duccio va interpretata come premessa di quella superiore dedicata alla cattura di Cristo. Quegli stessi discepoli che poco prima si erano assolutamente abbandonati a un torpore profondo, adesso, nella cattura, fuggono via impauriti e in preda al panico, spingendosi l’un l’altro e lasciando Gesù da solo al centro della scena, in compagnia soltanto di Giuda che sta per baciarlo e di un manipolo minaccioso di soldati e di altri personaggi venuti per catturarlo. È presente anche Pietro il quale poco dopo l’avrebbe rinnegato. I colori brillanti risaltano sul fondo dorato che ospita alcuni alberelli e uno scorcio della roccia su cui Gesù sale per pregare il Padre. Le scene sono immerse in una luce spirituale che tuttavia conferisce realismo agli elementi nello spazio. Colpisce l’attenzione dell’artista per i particolari: dagli alberelli che danno profondità e armonia al dipinto, alla vegetazione sino alla roccia sulla quale Gesù si prostra in preghiera.
La stessa cosa vale per le vesti che indossano Gesù, gli apostoli e i soldati. Ciò che emoziona è la capacità che l’artista possiede nel rendere quasi palpabile il sonno profondo in cui i discepoli sono caduti, la solitudine di Gesù e la forza dei suoi gesti. Questo episodio ha un valore universale perché riguarda tutti e tutte le generazioni dei credenti. Ogni credente, infatti, può trovarsi in una condizione simile a quella degli apostoli dormienti e nell’incapacità a “vegliare un’ora sola” con Cristo. Cosa voglia dire poi “vegliare” per un cristiano, e in particolare per un sacerdote, è ciò che si domandava Giovanni Paolo II nel novembre del 1980 in un discorso tenuto nella Germania ancora divisa in due, che vale la pena riprendere per comprendere meglio il messaggio che ci consegna questa Prima Domenica di Avvento: «Vegliare – diceva il papa in quell’occasione – significa vegliare sul bene affidato. Il bene che ci è affidato è infinitamente prezioso. Dobbiamo perseverare costantemente in esso…dobbiamo avere un sentimento sempre più profondo della grandezza dell’uomo quale ci è stata manifestata nel mistero dell’incarnazione e della redenzione».